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Giovanni Aldini, lo scienziato che ispirò Frankestein

Giovanni Aldini

Si trasportò il corpo del primo criminale decapitato nel posto che avevo scelto. […]
Per prima cosa fu sottoposta la testa all’azione del galvanismo, per mezzo di una pila a cento placche d’argento e zinco, dotata di due fili metallici: uno che partiva dalla base, l’altro dalla sommità della pila; le cui estremità di piombo furono inserite nelle orecchie, umettate con dell’acqua salata.
Vidi dapprima delle forti contrazioni su tutti i muscoli del viso, che si contorcevano così irregolarmente da imitare le più spaventevoli smorfie. Il movimento delle palpebre era molto marcato, sebbene meno sensibile nella testa umana rispetto a quella del bue.
[…] Mi proposi di provare l’azione del galvanismo sul tronco. […] Il corpo ebbe una violenta convulsione. Si videro le spalle alzarsi sensibilmente e le mani agitarsi e battere il tavolo su cui il cadavere era steso.

Quello che avete appena letto non è un frammento del Frankestein di Mary Shelley ma il resoconto degli esperimenti che il dottor Giovanni Aldini fece sui cadaveri di due condannati a morte nel gennaio del 1802.

Fu proprio Aldini ad essere, quindici anni dopo, fonte d’ispirazione per la scrittrice, la quale costruì il fulcro narrativo del suo romanzo sulla base delle teorie e degli esperimenti di questo scienziato italiano.

Giovanni Aldini e il galvanismo

Giovanni Aldini nacque a Bologna il 10 aprile del 1762. Nipote d’ “arte”, suo zio materno era il celebre Luigi Galvani, formulatore della teoria che da lui prese il nome: il galvanismo.

Negli ultimi anni del ‘700, Galvani aveva effettuato degli esperimenti sulle rane, arrivando a realizzare delle sensazionali scoperte: se sollecitate dall’azione di una scarica elettrica, le zampe delle rane si muovevano spasmodicamente, sebbene queste fossero morte e i loro corpi smembrati. Ciò, secondo Galvani, era dovuto alla presenza di un fluido all’interno del corpo, che egli chiamò “elettricità animale” e che interpretò come il “soffio vitale” che anima ogni essere vivente. Questo fluido vitale può essere attivato quando viene stimolato da una scarica elettrica esterna, anche dopo la morte. Questi, in poche parole, i risultati degli studi di Galvani, che daranno l’avvio a una nuova branca della scienza: l’elettrofisiologia.
Pochi anni dopo, il nipote decise di ripetere le esperienze dello zio ma in modo più teatrale. Se è vero che questa elettricità animale esiste in ogni essere vivente, allora perché non provare l’esperimento su creature di taglia più grande? Cani, buoi o…perché no? Esseri umani?

Gli esperimenti bolognesi

La pila, di recente invenzione, permetteva infatti di esercitare una scarica molto più forte sui soggetti sperimentati. L’unico ostacolo consisteva nella difficoltà di reperire corpi umani. Non tutti i cadaveri, infatti, erano idonei per tali pratiche. Come lo stesso Aldini afferma:

Gli uomini deceduti a seguito di malattie sono poco consoni al mio studio perché bisogna presupporre che lo sviluppo del principio che ha condotto alla morte abbia distrutto tutte le risorse della fibra; dunque risulta che gli umori siano viziati e snaturati.

Paradossalmente, Aldini aveva bisogno di un cadavere in salute! Ossia di una persona che fosse morta in maniera violenta e improvvisa. In tal caso i giustiziati risultavano una preziosa risorsa. Essendo ricercatore in campo fisico all’Università di Bologna, Giovanni Aldini non riscontrò problemi nel farsi consegnare i corpi di due anonimi condannati a morte e di eseguire su di essi gli esperimenti; ufficialmente per amor di scienza, ufficiosamente per il gusto di sorprendere il folto pubblico che assisteva alle sue sperimentazioni.
Gli studi dello scienziato e, in particolar modo gli esperimenti sui due cadaveri bolognesi sono confluiti nell’ Essai Théorique et expérimental sur le galvanisme, che Aldini stesso redasse in francese e da cui sono tratti gli stralci che abbiamo potuto leggere.

galvanisme
Illustrazione tratta dall'”Essai théorique et experimental sur le galvanisme”

Ma nonostante i successi riportati, Aldini non era soddisfatto. A quell’epoca, in Italia, come in quasi tutto il resto d’ Europa, i condannati subivano la decapitazione tramite ghigliottina; retaggio giacobino importato dalle truppe napoleoniche. Ma lo scienziato desiderava sperimentare i suoi marchingegni su corpi integri, sperando nel suo intimo di riportarli in vita.

L’avventura londinese

Fu così che nel corso del 1802 si trasferì a Londra, dove soggiornò per un anno. Nel regno Unito, infatti, vigeva ancora la condanna a morte per impiccagione.
Non passò molto tempo che trovò la sua cavia ideale nella persona di George Forrest, reo di aver ucciso la moglie e la figlia.

Ciò che successe al teatro anatomico del Royal College of Surgeons di Londra ha qualcosa di sensazionale. Davanti a una schiera di spettatori curiosi e a una stampa scettica, il corpo del trapassato George Forrest sembrò far ritorno tra i vivi. I pugni batterono sulla tavola, la mandibola si aprì e si chiuse come se il condannato cercasse ancora le parole per affermare la sua innocenza; i polmoni sembrarono incamerare aria e il petto si alzò e si abbasso come a seguito di un lungo respiro. George Forrest schiuse gli occhi verso il pubblico, che nel frattempo fremeva alla vista di un tale prodigio della scienza, incerto se considerarlo miracolo o abominio.
Il clamore atterrito sostituì i mormorii curiosi e ammirati della folla quando il morto levò le braccia e il tronco per alzarsi dal suo giaciglio. Ma proprio in quel momento la pila si esaurì e il corpo di Forrest ricadde sulla tavola. Morto.

Tutto sommato l’esperimento londinese si rivelò un fallimento. Il morto non aveva fatto altro che rispondere a scosse elettriche esterne che, per quanto potenti, nulla potevano sulla centralina elettrica del corpo: il cervello.

Lo scienziato tornò in Italia. Tuttavia non smise mai di studiare gli effetti dell’elettricità sui corpi e i suoi possibili usi in campo medico. Tra le altre cose fu tra i fautori dell’elettroshock.

Oggi possiamo ammirare molti degli strumenti che utilizzava nei suoi esperimenti all’interno del Museo del patrimonio industriale di Bologna; una ricca collezione che Aldini stesso donò, alla sua morte, a favore della Scuola di Scienze Naturali della città.

Ma forse il lascito più importante è stato proprio quello di essere fonte di ispirazione per la creazione del personaggio destinato a diventare -in letteratura e successivamente nel cinema- il prototipo dello scienziato geniale ma folle.

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