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Carlo Vulcano e il diavolo al convento dei Girolamini

Si torna a Napoli, questa volta nel convento dei Girolamini, teatro degli straordinari avvenimenti che sul finire del XVII sec. videro per protagonista il giovane novizio Carlo Vulcano e…

il diavolo in persona. Una storia che sembra scaturire dalla fervida immaginazione del popolo partenopeo, se non fosse che la sua memoria sia stata custodita -e a lungo dimenticata- tra le pagine ingiallite di un anonimo manoscritto di poco posteriore agli eventi che a breve andremo a narrare.

Il complesso dei Girolamini

Quando nel 1586 i padri filippini (chiamati anche girolamini) arrivarono a Napoli, dovettero ritagliarsi uno spazio tra le fabbriche dell’antico centro storico della città. Inizialmente si accontentarono di una piccola chiesa -stretta e un po’ soffocata dalle costruzioni più imponenti che si stagliavano sul lato opposto della strada- e di un annesso convento, ricavato da un antico palazzo che si affacciava su Via Duomo. Ben presto però, le donazioni a favore della congregazione permisero ai religiosi di allargarsi. Per far ciò, alcune piccole chiese vennero sacrificate, edifici privati vennero demoliti o inglobati e una larga area prospiciente Via dei Tribunali venne spianata per consentire alla facciata della nuova chiesa di avere il suo impatto scenografico sul passante. Fu così che un intero isolato andò a formare il complesso monumentale dei Girolamini.

carlo vulcano e il diavolo
Facciata della chiesa dei Girolamini sull’omonimo largo

Come molte altre a Napoli, la chiesa è un trionfo del barocco e di tutte le varie espressioni artistiche del seicento e settecento. All’interno è possibile ammirare le opere tardomanieriste del Pomarancio e di Federico Zuccari, passando per il classicismo di Guido Reni, fino ad arrivare alle esuberanti creazioni di Pietro da Cortona -l’ “inventore” del barocco nella pittura- e alla levità dei due angeli reggi-fiaccola di Giuseppe Sanmartino, autore del più noto Cristo velato nella vicina cappella Sansevero.
Tanta fu la ricchezza delle donazioni e l’amore dei padri girolamini per l’arte, che nella sagrestia fu allestita una quadreria, la prima a Napoli concepita per essere aperta al pubblico.
Ma i tesori più preziosi si trovavano, forse, nella biblioteca, maestoso scrigno di legno intagliato, sui cui ripiani è custodita una vasta collezione fra le più ricche del mezzogiorno. Ed è proprio da qui che prende il via la nostra storia…

Biblioteca dei Girolamini

Carlo Vulcano

Tra i quasi 160 000 volumi di storia, teologia e filosofia della biblioteca, spicca per la sua modestia un libricino che è poco più di un taccuino per appunti. In una scrittura senza fronzoli, senza pretese letterarie, viene esposto con chiarezza didascalica e accuratezza del dettaglio il Caso successo nella Casa dei P.P Girolamini in Napoli à IV del mese di Maggio 1696.

L’anonimo cronista racconta la vicenda di Don Carlo Maria Vulcano, giovane rampollo della nobiltà sorrentina, che nella primavera del 1696 entrò in convento come novizio. La notte del 4 maggio Carlo fu svegliato da un’entità dapprima indistinta e irreale, un’ombra circonfusa nel buio della stanza, più nera delle tenebre della notte, che lo fissava con occhi ipnotici e ardenti mentre lentamente si delineavano i contorni di una figura simile a quella di un uomo ma non umana, e per questo spaventosa. Nello stesso istante  cominciò un gran fracasso di oggetti e mobili scaraventati a terra. Allora Carlo vide altri esseri, abbozzi umanoidi e ghignanti che turbinavano in circolo, sbattendo le loro orride e viscide ali contro le pareti della stanza.

Fu solo l’inizio di una serie di spiacevoli e bizzarri incidenti che coinvolsero tutti gli abitanti del convento. Così il silenzio della notte veniva squarciato da urla disumane, le pietre cadevano dalle volte e magicamente si risollevavano per ricomporle, sui muri comparivano e scomparivano scritte dissacranti, le toghe venivano trovate cucite fra loro, i vetri delle finestre rotti, gli oggetti nascosti, i monaci percossi. Nemmeno durante le funzioni liturgiche, la dispettosa entità li lasciava in pace. Bisognava prendere provvedimenti. D’altronde i padri Girolamini avevano fama di essere ottimi esorcisti, perché ovviamente doveva essere il diavolo la causa di tutto quel trambusto.

Satana in persona

Dapprima Padre Niccolò Squillante, maestro dei novizi, poi padre Vincenzo Avitrano e infine i padri Pietro e Domenico Galisio, zii di Carlo. Uno dopo l’altro provarono e fallirono nel tentativo di allontanare l’oscura entità dal convento. Padre Domenico intavolò con essa un acceso dialogo e alla domanda su chi fosse, questa rispose placidamente: – Satana in persona.

Nient’altro gli esperti esorcisti riuscirono a cavare dallo spirito, che era molto più forte e tenace di quello che inizialmente credevano.
Furono quindi chiamati i rinforzi. Si scomodò anche l’arcivescovo di Benevento, Pietro Francesco Orsini, futuro Papa Benedetto XIII, ma anche stavolta l’esorcismo si risolse in un nulla di fatto.
Una cosa si era capita chiaramente: il diavolo si era accanito su Carlo Vulcano, era lui l”oggetto” del suo interesse. Forse allontanando Carlo si sarebbe potuto liberare il convento da quella sciagurata presenza .
E così fu fatto. Carlo fu rispedito per qualche tempo a Sorrento, per pregare sulla tomba di Sant’Antonino che in vita aveva compiuto prodigiosi esorcismi; poi a Capri, dove soggiornò per un periodo nel convento del S.S Sacramento, fondato dalla Madre Suor Serafina, la cui benefica presenza i padri girolamini speravano potesse servire a liberare Carlo dalla possessione. Ma ovunque Carlo andasse e qualsiasi cosa facesse il diavolo lo seguiva e perseguitava chiunque lo accompagnasse o dormisse sotto il suo stesso tetto.
Dopo aver esasperato anche le suore dell’isola, Carlo e il suo demone fecero ritorno a Napoli. Era il 1698. Erano passati due anni dall’inizio delle manifestazioni demoniache. Padre Niccolò Squillante, non trovando altra soluzione, si arrese allontanando definitivamente Carlo Vulcano dal convento.

D’improvviso, com’era arrivato, il diavolo se ne andò dalla casa dei Girolamini e smise di perseguitare l’ormai ex novizio Carlo. Evidentemente aveva ottenuto quello che voleva.

È probabile che a scrivere  dello strano “caso” del demonio in convento, fu lo stesso maestro dei novizi, al fine di garantire alla vicenda memoria imperitura nei secoli a venire.

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