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Venezia, il levantino della Scuola di San Marco

Venezia agli albori del ‘500: un brulichio di mercanti, artisti, mecenati, artigiani, forestieri e furfanti; ognuno a suo modo intento a rendere leggendaria la Serenissima.
Tra lo splendore di questa mirabolante fabbrica di ricchezza e potere, vogliamo narrare la storia di due miserie che per un istante incrociarono i loro destini e il cui incontro fu indelebilmente inciso sul candido marmo della facciata della Scuola di San Marco.

Venezia, il levantino col cuore in mano della Scuola di San Marco
Venezia in un’incisione del 1500 di Jacopo de Barberi

 

Storia di uno scalpellino

Torniamo qualche anno indietro. Viveva negli anni ’90 del 400 uno scalpellino che insieme alla moglie viveva onestamente del proprio lavoro. Si chiamava Cesco Pizzigani e in quegli anni lavorava nel cantiere di ricostruzione della Scuola grande di San Marco, distrutta da un incendio nel 1485. Si dice che qui egli abbia scolpito le più belle incisioni che tuttora possiamo ammirare sulla facciata dell’edificio.

Venezia, il levantino col cuore in mano della Scuola di San Marco
Facciata dell Scuola grande di San Marco

 

Fu il suo ultimo incarico. Nel 1501, a cantiere da poco terminato, la moglie si ammalò gravemente di un male sconosciuto e incurabile. A nulla valsero gli sforzi finanziari di Cesco: nessun medico riusciva a trovare la cura adatta per la malata ma ognuno riusciva perfettamente ad alimentare le speranze del povero scalpellino e ad ingrossare le proprie tasche.

La donna morì e Cesco si ritrovò senza più un soldo né un impiego. Era stato costretto a vendere la propria bottega per sostenere le spese mediche e aveva trascurato così tanto il lavoro per assistere la moglie che nessuno lo ingaggiava più per nuovi cantieri. Solo e disperato, si ridusse a mendicare per le calli. Il luogo dove sostava più spesso era proprio la facciata della Scuola di San Marco, forse perché era quello l’ultimo posto in cui era stato felice. Le imbarcazioni e la vita scorrevano lungo il canale adiacente e nelle lunghe ore di noia si distraeva dalle sue disgrazie graffendo le prime su un lato del monumentale portale delle Scuola. Per farlo si serviva di un chiodo arrugginito, unico arnese rimastogli.

Storia di un levantino

Poco distante dalla scuola e dal nostro scalpellino vi era la modesta abitazione di una donna ormai in là con gli anni che in giovinezza aveva avuto un’avventura amorosa con un mercante ebreo di origini turche.

Venezia, il levantino col cuore in mano della Scuola di San Marco

Il figlio, frutto di questa relazione, viveva col padre nella Giudecca, la grande isola oblunga che cinge a sud la città di Venezia. Era, in quel tempo, il luogo d’elezione dei mercanti stranieri, soprattutto levantini.

Il ragazzo amava vestire all’orientale; in questo modo, pensava, sarebbe stato più facilmente accetto dalla comunità ebraica, che tuttavia non lo riconosceva come uno di loro perché di madre veneziana e cristiana. Costretto a vivere la propria identità come una colpa, il ragazzo scaricava le sue frustrazioni contro la madre le rare volte in cui andava a trovarla, la quale dal canto suo sopportava con pazienza e amore i maltrattamenti del figlio che a volte arrivava persino ad alzare le mani.

Il cuore di una madre

Una sera però la situazione degenerò e il figlio si ritrovò a commettere uno dei più terribili fra i delitti: l’uccisione della donna che gli aveva dato la vita. Tanta fu la furia di quell’atto che arrivò a strapparle il cuore ancora palpitante dal petto. Preso dallo spavento e ormai ottenebrato dalla follia, il ragazzo uscì di corsa da casa correndo senza meta per le calli deserte. Giunto dinnanzi all’ingresso della Scuola di San Marco inciampò contro uno degli scalini. Il tonfo provocato dalla caduta svegliò Cesco che si era appisolato su uno dei basamenti dei pilastri.

Nel frattempo il giovane non aveva lasciato la presa sul cuore, ancora saldo nella sua mano. Cuore di mamma, il tempo di un respiro e una dolce voce si sentì aleggiare nell’aria: “Figlio mio, ti sei fatto male?”
Allora la follia diventò delirio, la paura diventò terrore; il ragazzo si levò in piedi, si precipitò verso il canale e in un attimo scomparve, inghiottito dalla nebbia e dalle nere acque della laguna. Unico testimone fu Cesco, che atterrito dalla scena decise di tramandarla ai posteri attraverso il mezzo che gli era più congeniale: incidendola sulla pietra.

Venezia, il levantino col cuore in mano della Scuola di San Marco

 

Così, se vi trovate a Venezia, nell’abbaglio provocato dalla magistrale fusione fra architettura e scultura che rappresenta la facciata della Scuola di San Marco, soffermatevi per un attimo ad osservare i modesti graffiti ai lati del portale. Fra questi vedrete un omino -semplicisticamente caratterizzato come levantino per via del buffo copricapo che indossa- con le braccia spalancate e un cuore nella mano sinistra.

Venezia, il levantino col cuore in mano della Scuola di San Marco
La Scuola grande di San Marco e il Rio dei Mendicanti in una veduta del Canaletto

 

Che sia stato il Cesco del racconto ad eseguire l’incisione o qualche barcaiolo o monello di strada non possiamo saperlo; tuttavia nelle sere di nebbia, quando la risacca lambisce i bordi del Rio dei Mendicanti, pare che ancora si sentano i gemiti di un uomo e i battiti fievoli e lenti di un qualcosa che somiglia al palpito di un cuore: i gemiti di un figlio e il cuore pulsante di una madre, gelosamente custoditi dal fondo della laguna.

 

 

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